
Nel 1915, Luigi Pirandello debuttò al Teatro Valle in Roma con il suo spettacolo “I giganti della montagna”, abbattendo, almeno per la prima volta in Italia, la quarta parete e suscitando le ira dei critici e le feroci ingiurie da parte degli Spettatori.
Testo di Stefano Romagnoli / Spettatore Professionista

La quarta parete, ovvero il famoso muro immaginario posto di fronte al palco di un teatro e attraverso il quale il pubblico osserva l’azione che si svolge nel mondo dell’opera rappresentata (fonte: Wikipedia).
Oggi la stessa quarta parete è stata scaraventata tra mille anfratti, boschi, spiagge, vie e piazze, palazzi, ci si è ritrovati ad assistere all’azione in luoghi che fino a pochi mesi fa erano lontani dall’essere vissuti per uno spettacolo teatrale.
Tecnici, non a caso nominati per primi, categoria oggi in enorme difficoltà lavorativa, artisti, operatori volontari e Spettatori, da un po’ di tempo si muovono fianco a fianco, rispettando il canonico distanziamento sociale, di un metro: mascherine sul volto, gel antibatterico, documento alla mano, fanno parte del kit del nuovo Spettatore.
Ci si avvicina, forse, alla “tessera dello spettatore” come quella del tifoso?
Quindi, cosa è cambiato negli ultimi mesi per lo Spettatore?
Già dall’acquisto del biglietto si è passati da una semplice prenotazione telefonica all’acquisto tramite le varie società di vendita online, alle quali è obbligatorio fornire le proprie generalità, l’ingresso alla sala teatrale è contingentato, in media il 40% in meno di posti disponibili possono essere occupati, fino ad un max di 200 persone e questo crea un disequilibrio tra ciò che il teatro richiede e lo spettatore si aspetta di ricevere: creare una relazione di sguardi, di compiacimento, di attrazione, di sconvolgimento, ecco tutto questo è quasi impossibile se non in rari casi, per la nostra necessità di protezione.
Secondo alcune tesi, lo Spettatore del teatro è parte del suo corpo, forse non una parte vitale e cioè responsabile dei contenuti e delle azioni che costituiscono lo spettacolo, ma una parte viva e significativa, capace di stabilire l’orientamento e il confine di un teatro, altrimenti letteralmente indefinibile.
Consideriamo quindi lo Spettatore come la “coda” del teatro.
A tal proposito Jerzy Grotowski affermava che il teatro può essere rappresentato senza trucco, senza costumi o scenografia, senza effetti sonori e senza luce e perfino, secondo i Rimini-Protokoll anche senza attori, ma lo Spettatore non può essere sostituito da nessuno.
Si può definire dunque che il corpo attento dello Spettatore è assolutamente ineliminabile da quel rito che è l’interazione tra corpo e teatro e si ha la netta sensazione che il teatro viva solo quando è presente lo Spettatore.
Quando si ragiona, insomma, sul fatto che a teatro per prima cosa ci si va per assistere e non solo per vedere o ascoltare, facendo la propria parte nella relazione.
In definitiva il nostro caro teatro può e deve ritrovare il rito che si consuma con lo Spettatore, celebrando tutte le eucaristie, chiudendo gli occhi e sognando.
Riferimenti:
Jerzy Grotoski
www.rimini-protokoll.de
INFO
Stefano Romagnoli
FB @spettaoreprofessionista